mercoledì 15 agosto 2012

La democrazia del cocomero

Mi ricordo che Angelo non faceva nemmeno piu' terapia, perché stava così male che i medici si erano fermati. Una specie di pausa di riflessione, per provare a capire se una via d'uscita esisteva o se bisognava iniziare ad abituarsi all'idea di mollare la presa. Mi ricordo che avevo smesso di comprargli i vestiti per i mesi successivi. Anche il nostro armadio viveva come tutta la famiglia: alla giornata, seguendo gli eventi senza troppa convinzione, senza pensare alle stagioni che venivano, ai mesi che si davano il cambio sul calendario e noi che nemmeno che ce ne accorgevamo. 

Mi ricordo che, come in tutti i giorni di festa, nel Regno di Op provavano a farci dimenticare che la vita di tutti ci aveva escluso per ragioni impossibili da cogliere e per un tempo che non era dato sapere. E mi ricordo che dappertutto c'era un gran da fare. Mi ricordo che i portantini passavano per le stanze a rassicurarci sul vitto in arrivo a mezzogiorno: "Sembra che arrivino le tagliatelle al ragù, l'arrosto e le patate al forno", ripetevano a noi quattro gatti reclusi in reparto. "E pure il cocomero", aggiungevano. E non so bene perche' questo cocomero democratico che varcava i confini del Grande Ospedale e arrivava fresco e a fette anche nel nostro recinto, come in tutte le spiagge, le ville sul mare, gli alberghi e i resort dei vacanzieri d'estate, un po' di sollievo, al solo pensiero, ce lo dava davvero.

Ricordo esattamente chi erano le infermiere in turno. E chi era ricoverato e chi no. Eravamo rimasti in reparto solo i casi piu' gravi, impossibili da dimettere nemmeno per 24 ore di permesso nel cuore dell'estate. Noi appesi al nostro filo sottilissimo, Serena sulla soglia della stanza 9 a vigilare su Bernardo che iniziava a peggiorare e Michela vestita da spiaggia, appena arrivata in quel giorno infame, a esplorare la ludoteca e a contare i passi del corridoio, con la madre e i nonni con gli occhi sgomenti e un sacchetto di frutta in mano a chiedersi il perche' di quel dolore al petto, a sperare ancora di essere finiti nel posto sbagliato nel giorno piu' sbagliato di tutti.

Poi mi ricordo che successe quelle che succede sempre anche a Pasqua, Natale, Capodanno, Carnevale. Arrivarono i clown, con la chirarra sulle spalle. Arrivo' l'assistente sociale dell'associazione dei genitori a chiederci se noi genitori volevamo andare a farci un giro, perché ai bambini per un'oretta poteva pensarci lei. Arrivo' la psicologa a chiederci se volevamo fare due chiacchiere.

Poi arrivò un'esponente piuttosto nota di un sindacato nazionale. La conoscevo abbastanza bene, me la vidi entrare in stanza e saltai sulla sedia. La invitavo sempre nel salotto di una trasmissione per cui lavoravo, in Rai. E siccome non lavoravo da mesi e tutta la vita precedente mi sembrava ormai insensata e lontana quando la vidi entrare nella mia stanza, senza preavviso e senza che io capissi bene il perché della sua visita lo trovai assurdo e comico insieme. Poi un'infermiera le disse che malattia aveva Angelo, lei mi strinse la mano e mi disse che il suo sindacato era molto vicino ai malati e che ogni ferragosto portavano alcuni regali in corsia: matite, colori, macchinine e Barbie, libri da sfogliare. "Pero' signora io non pensavo proprio che un bambino così piccolo potesse stare in questo reparto, un regalo per un bambino così piccolo non ce l'abbiamo", aggiunse. E da brava persona quale è sempre stata ed è si scusò abbassando lo sguardo. "Prenderemo il libro di Tarzan, va benissimo, sta imparando a sfogliarli proprio in questi giorni", tagliò corto Marco, rassicurandola e togliendola dall'imbarazzo. E a quel punto l'infermiera che l'accompagnava ci fece l'occhiolino e la accompagno' alla porta. 

Ricordo che tutta la mia famiglia arrivo' dalla Puglia e che siccome era ferragosto li fecero entrare in stanza un'oretta prima dell'orario delle visite. Ricordo mia madre che mi porto' una teglia di pasta al forno calda e mi disse "vai a mangiarla in terrazzo, che prendi aria, al bambino ci pensiamo noi" e poi fece gli occhi lucidi e rossi e mi disse che doveva andare solo un momento in bagno. Ricordo che in via del tutto eccezionale sul terrazzo a un certo punto ci fecero venire anche Angelo, purché come i vampiri non prendesse sole per nessuna ragione al mondo, visti i farmaci che aveva in corpo. E ricordo che lo bardammo e gli infilammo in testa un enorme cappellino verde militare da Sampei e alla vista del sole, anche sotto il suo cono d'ombra, in quel minuscolo terrazzo che ci sembrava una foresta incantata, socchiudeva gli occhi e girava la testa da una parte e dell'altra come a chiedersi cosa fossero l'aria, l'ossigeno, le piante e l'orizzonte. Il suo mondo era molto più piccolo di quel terrazzo di pochi metri e quello strappo alla regola, improvvisamente, glie lo aveva fatto capire.

Ricordo che a ferragosto io e Marco decidemmo che da lì a due settimane ci saremmo sposati. La nostra famiglia andava celebrata e non bisognava consentire alla malattia di fermare i sogni, i progetti, la vita. Bisognava opporre tutta la resistenza possibile, bisognava rilanciare, bisognava provare a puntellare la nostra unione e riempirla di promesse e di rose. Forse avremmo dovuto celebrare le nozze senza Angelo, che non poteva lasciare l'ospedale di quei tempi nemmeno per cinque minuti. Ma avremmo fatto in fretta e saremmo tornati presto da lui. E così fu, due settimane dopo. E fu una cosa bella e giusta. E per ora ci ha portato fortuna.

Ricordo la fine, di quel ferragosto. Il tramonto infuocato davanti alla grande vetrata della stanza, il sollievo assoluto che anche quella festa in ospedale fosse finita. Ricordo che arrivarono le pizze e che giocammo tutto il tempo con il libro di Tarzan e che quando fu il momento di provare un po' a dormire il sonno arrivo' un istante dopo.

Quest'anno, a ferragosto, sono al mare. E qualcuno direbbe che ho da dimenticare quel ferragosto di piombo e ombra di un anno fa. Invece no.

Bisogna ricordarseli bene i bambini che oggi mangiano il cocomero in ospedale. Famiglie che portano le lasagne nel contenitore d'alluminio. Infermiere che fanno il ca ffè nella moka per tutti perché il bar chiude prima ma senza caffè come si fa. Medici che chiamano dalle ferie per sapere se i bambini stanno bene e se è tutto nella norma.

No che non è niente nella norma. Perché i bambini a ferragosto dovrebbero stare a fare i castelli di sabbia con la paletta e il rastrello. Non dovrebbero saltare nemmeno un ferragosto della loro vita. Però pazienza. Qualche volta il mondo sottosopra si riesce a mettere in piedi e, nonostante i ricordi, il dolore lo lava via il mare. Qualche altra resta al contrario. Nonostante il cocomero democratico in corsia. Nonostante i libri di Tarzan, i clown, le psicologhe, gli assistenti sociali, i pennarelli per colorare. E allora bisogna solo aspettare che ferragosto con il suo rumore di fuochi d'artificio e tormentoni d'estate passi anche stavolta. Pensare che è questione di ore e questo evidenziatore giallo fluorescente della differenza tra chi sta bene e chi sta male si sbiadirà. Si asciugherà come acqua sulla pelle.