lunedì 2 gennaio 2012

Il muro di Berlino

L'anno nuovo e' cominciato da una manciata di ore, ma di nuovo c'e' ben poco nel regno di Op e noi siamo sempre al solito posto. Parcheggiati sulla poltroncina gialla e blu con i manici verdi in fondo al corridoio. Accampati con il passeggino carico di giocattoli, la borsa piena di biberon e bottiglie di latte, salviettine, ciucci di riserva, tutine di ricambio, scatole di medicinali.

Oggi, infatti, ci tocca il day-hospital di Op. Come ogni tre giorni e come per gran parte delle famiglie in cura. E, al solito, già da ieri sera abbiamo iniziato a prepararci psicologicamente alla cosa. Perchè per reggere il day hospital di Op ci vuole davvero un fisico bestiale. Stamattina, come sempre, ci siamo svegliati  all'alba, abbiamo imbustato Angelo nella sua tutona da yeti delle nevi a prova di gennaio e alle 8 in punto eravamo gia' al decimo piano del Grande Ospedale, nella parte di corridoio dedicata ai ricoveri-lampo. Il tempo di un prelievo, di una terapia, di una trasfusione, di una visita di controllo e poi a casa. Insieme a noi, un'altra decina di famiglie compagne di viaggio. Papa' assonnati con pelouche e macchinine in mano, mamme intente a risistemare bodini e camicine nei pantaloni dopo il passaggio in medicheria, qualche nonno piazzato a custodia di giacconi e borsette sulle sedie dello stanzone con i letti. E poi i bambini. Sparsi per le sale giochi dell'undicesimo piano, sguinsagliati per il corridoio a spingere le flebo sui treppiedi di ferro con le ruote o spaparanzati - si fa per dire - sui letti, davanti ai cartoni animati trasmessi dai televisori al plasma del Grande Ospedale, passatempo indispensabile per far volare via le ore necessarie all'infusione dei farmaci o delle sacche di sangue.

Alla fine del corridoio, c'e' la grande porta a vetri blu e bianca che le infermiere chiamano "il muro di Berlino" e che separa gli ambulatori della Berlino Est dalla Berlino Ovest del reparto vero e proprio, dove finiscono i bimbi ricoverati. I piccoli del day hospital non possono varcare la porta del reparto e viceversa i degenti del reparto non possono affacciarsi in day hospital. Chi e' ricoverato infatti e' in stretto isolamento: qualcuno ha la febbre alta per le tossicita' dovute ai valori ematici troppo bassi post chemioterapia, qualcun altro aspetta in ambiente protetto un intervento atteso per mesi,  qualcun altro ancora e' appena arrivato e si aggira un po' spaesato in attesa di una diagnosi, sballottato tra lastre, risonanze e tac. E comunque i bimbi di Op passano da Est a Ovest in un istante. Basta 37.5 di febbre, per dire, e i medici dispongono un ricovero per accertamenti e per fare gli antibiotici in vena, perché per i bambini oncologici anche un forte raffreddore, come quello che ha Angelo in questi giorni, è un pericolo. Una spia d'allarme impossibile da sottovalutare, in quanto potenziale ostacolo alle venefiche terapie salvavita. 

Noi che oggi siamo nella Berlino Est del day hospital siamo stati tutti a lungo e a turno anche nella Berlino Ovest del reparto e anche se sembriamo campeggiatori d'inverno spettinati dalla scomodità e dall'insofferenza e trifolati dalla noia e dalla claustrofobia sappiamo che con un po' di fortuna, se la visita medica e' a posto e l'osservazione dopo la terapia va liscia, entro il tardo pomeriggio ce ne torniamo a casa. Sappiamo, insomma, che siamo l'ala fortunata della baracca, checché ne dicano le infermiere del day hospital, per scherzare con le colleghe di reparto. Così quando incontriamo i genitori dei bambini che stanno al di là del muro, mentre passano a Est per predere l'ascensore che porta su al terrazzo o alla cucina, capita che ci sentiamo anche un po' in colpa.

In colpa davanti alla mamma di Astrid, ad esempio, che stamattina preparava stancamente la pasta col pesto, mentre alla figlia, come sempre, anche questa settimana, come da 8 mesi a questa parte, toccheranno almeno 5 giorni di ricovero e solo il week end a casa. O davanti allo sguardo triste e angosciato del papà di Adele, che arriva da Taranto, ha 3 anni e un tumore di Wilms al rene di 10 centimetri da operare d'urgenza a fine settimana, perché non risponde alle chemioterapie. O davanti alla nonna di Bernardo, che sistemava la roba bagnata e strizzata sullo stendino, fresca di lavatrice. E che insieme alle altre figlie, al marito e ai consuoceri non molla un istante mamma Serena, che dal letto di Bernardo non si stacca da fine agosto e che tra Natale e Capodanno ha dovuto sopportare altri tre interventi sulla pelle del suo bambino. "Che fanno, con Angelo, lo ricoverano per la tosse?", mi ha chiesto a un certo punto Nonna Coraggio mentre con una molletta agganciava la manica di un pigiama. "No, signora, abbiamo fatto i raggi ed è a posto. Basta un po' di aereosol. Dopo la chemio torniamo a casa", ho risposto stringendo le spalle, quasi a chiedere scusa.
Poi rossa di una strana vergogna, ho salutato con la mano, sgattaiolando via.

5 commenti:

  1. Io porto il mio ciccio ogni 14 giorni in day hospital e tutte le volte ke varco la soglia dell'ospedale mi sembra ke tutto sia irreale. Non accetto ancora dopo due anni che i nostri piccoli debbano soffrire a fin di bene. Non è semplice spiegare al mio ciccio ke le terapie a cui lo sottopongono servono a fargli vivere una vita decente....

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  2. Non smettere mai di raccontare tutto questo. Anche quando tuo figlio sarà guarito ricorda a tutti i genitori quanto è facile scivolare da questo regno al regno di op.

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  3. Ho appena letto la tua lettera su Vanity Fair, e senza nemmeno accorgermi mi ritrovo qui a leggere questo blog. E a scriverti senza nemmeno conoscerti, ma dal cuore. Complimenti. Per la forza, il coraggio, la speranza. Non sono mamma, ma sono stata a lungo a contatto con bimbi piccini. Non conosco bene la malattia, ma l'ho vissuta recentemente su mio suocero. Piccoli elementi che mi hanno toccato dentro. Continua a scrivere, te ne prego. Serve a te, per sfogarti e sentirti meno sola. Serve a noi, per ricordassi quali sono le cose davvero importanti e per dedicare al piccolo Jacopo l'ultimo nostro pensiero della giornata. Un forte abbraccio, Angela

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  4. buongiorno paola,buongiorni a tutti i genitori coraggio,mi chiamo monia,e come angela,anche io ho appena letto la tua lettera su vanity...e come lei seguendo un impulso come naturale,mi trovo qui a leggere il blog..
    vorrei abbracciarvi tutti uno per uno,regalarvi accarezzandovi il viso un pokino di sollievo e di speranza,se esistesse veramente,mi piacerebbe avere una bacchetta magica,per poter far diventare il dolore gioia,le paure certezze,le lacrime sorrisi.
    non si può capire le cose se non le si provano,si possono solo immaginare,e a volte nemmeno ci si avvicina alla realtà,ma si può rivolgere il pensiero ad esse per essere più vicini almeno con il cuore a chi attraversa un destino impervio...e questo è quello che vorrei fare io,con il vostro permesso!vi abbraccio forte,anche i vostri cuccioli,i vostri piccoli grandi simba,e che ogni giorno vi giunga il mio pensiero e il mio affetto!mi scuso,perchè in qualche modo mi sembra di avervi invaso e leso nella vostra personale esperienza e fatica,ma ci tenevo a scrivervi.vi ammiro,rispetto,stimo,ringrazio!monia

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  5. non riesco a smettere di leggere ....siamo usciti da un grande ospedale il 30 dicembre dopo una degenza di 20 giorni... il mio nano ha tre mesi e una settimana è stato d u r i s s i m o dobbiamo finire ancora gli accertamenti... la p a u r a è paralizzante
    il nano ora è sul divano in braccio a suo padre che ride io guardo loro e se mi fermo a pensare mi commuovo
    i piccoli sono si invincibili noi un pò meno ci proviamo ma non sempre si riesce
    un abbraccio forte stretto e grande a te e al tuo bimbo

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