sabato 28 gennaio 2012

Se fossi padre

Se fossi padre, nel regno di Op, dovrei attenermi agli orari di entrata e uscita. Ogni sera saluterei mio figlio con un bacio sulla fronte, mia moglie con un abbraccio e tornerei da solo, a casa, guidando sfinito e sovrappensiero, cenando con un panino e poi a letto, senza riuscire a prendere sonno. Scrivendo sms, preparando e disfacendo valigie, pensando con angoscia e tormento a chi resta a dormire sulla branda pieghevole del regno di Op.

Se fossi padre, mi sveglierei quando fuori è ancora buio e la mattina alle 7 passerei dal bar del Grande Ospedale, mi farei largo tra la folla appoggiata al bancone, ordinerei un cappuccino a portar via nel bicchiere di plastica e camminerei veloce, verso l'ascensore, attento a non far rovesciare la schiuma. Poi suonerei il campanello davanti alla porta a vetri bianca e blu del regno di Op, saluterei le infermiere al cambio turno ancora con le divise in mano, i portantini dietro al carrello della colazione, gli altri papà tornati alla base, ed entrerei in stanza, finalmente sollevato, finalmente al mio posto. Anch'io.

Se fossi padre, a ogni ricovero nel regno di Op, mi manderebbero subito al terzo piano a sbrigare le pratiche amministrative, anche se vorrei stare lì al decimo, in medicheria, con mio figlio e con sua madre. Sapere come va la febbre, se la medicazione del catetere è a posto, se le complicazioni alla terapia sono normali, se la frequenza cardiaca va bene, che farmaci metteranno in flebo, a che ora passeranno i dottori. "Vada prima ad aprire la cartella del ricovero in amministrazione, papà", mi ripeterebbe bonariamente una delle infermiere di Op. E se fossi padre, cuore in gola e documenti alla mano, farei un bel respiro e, senza scelta, andrei.

Se fossi padre penserei a rinnovare l'abbonamento al parcheggio del Grande Ospedale a fine mese, a comprare le bottiglie di latte in farmacia e i pannolini al supermercato, a prendere le ricette dal pediatra, a fare la coda alla Asl, a sistemare le cose al lavoro, ad aggiornare i nonni sull'ultima ecocardio e sulla prossima Tac.

Se fossi padre nessuno parlerebbe del mio dolore. Verrebbe prima quello della mia donna, poi quello del sangue del mio sangue. E imparerei anch'io a pensare così: prima la mamma, poi il piccolo. Solo dopo, io: così impotente, così accessorio, così incapace di proteggerli, così obbligato a proteggermi. Se fossi padre, nel regno di Op, mi sentirei in colpa, non mi sentirei abbastanza, mi suonerei fuori posto, vorrei fare di più. Immotivatamente, certamente: se fossi padre starei più o meno così.

E' per questo che penso che sia meglio essere madri, nel regno di Op. Incrollabili, onnipresenti e fiere. A volte fragili, altre volte d'acciaio, con le radici ben piantate a terra, la comprensione di tutti attorno, l'assistenza costante, la solidarietà. E i padri a fianco a cui appoggiarsi. Parafulmini silenziosi, discreti e laterali, a bussare piano alla porta, la mattina. A chiederci com'è andata la notte, a portarci una maglietta di ricambio. Un giornale fresco di stampa, un cornetto caldo, un tubetto di dentifricio. Un bacio, un caffè.

28 commenti:

  1. Essere genitori nel regno di Op richiede forza. Una inesauribile forza. Vi abbraccio teneramente e sono certa che andrà tutto bene.

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  2. Non sempre va così Paola, quando abbiamo rischiato di perdere il nostro piccolo per una meningite sono rimasto io in ospedale, a vegliarlo ogni momento, contando ogni suo respiro, sperando sempre non fosse l'ultimo. Non potrei mai stare a casa con mio figlio in ospedale, ho sempre trovato seccante il ruolo secondario in cui sono relegati i padri, ma questa è la società, pazienza!!!

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  3. Caro Snake 77, sono sinceramente colpita dal tuo commento. Sembra davero che tu abbia letto un altro blog, un altro post. QUesto mio ultimo è dedicato proprio ai padri che stanno in ospedale ogni momento. Che ci starebbero di notte se il regolamento lo consentisse. Che quando sono costretti a tornare a casa si tormentano e non riescono a prendere sonno, e quindi è come se ci fossero sempre accanto. Che la mattina arrivano all'alba e, al posto di preoccuparsi egoisticamente del proprio dolore, che esiste e se è possibile è più pulsante di quello di madri e figli messi insieme, si occupano di noi, di ogni minimo dettaglio necessario a restare in piedi nelle nostre giornate ospedaliere. I padri sono alla periferia del discorso sulla genitorialità, come se fossero sempre più forti o meno genitori. E invece non è così. Questo post è un tributo ai padri, al padre di mio figlio che non ci molla un istante e senza il quale io sarei crollata già da un pezzo, a tutti gli straordinari padri che incontro ogni giorno e di cui nessuno parla, come se la malattia dei figli colpisse primariamente le mamme. Questo post è per loro, vuole dire che anche questo blog è anche per loro.
    E' abbastanza mortificante, però, che il primo commento di padre che arriva su queste pagine sia questo e di questo segno. Hai davvero e completamente frainteso. Peccato.

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    1. Cara Paola, per prima cosa ti chiedo scusa, davvero, mi dispiace davvero tanto se ho usato toni aggressivi o peggio offensivi. Un'altra cosa, io sono Luca, scusa anche per questo, non era mia intenzione nascondermi dietro ad un nick. Sai, è tanto tempo ormai che combatto per la questione del padre, e forse per questo ho frainteso il tuo post. Ho dovuto lottare per assistere alla nascita dei miei bambini, ho dovuto lottare per stare a fianco di mio figlio quando era ricoverato, lotto da sempre contro questa burocrazia e queste regole stupide che considerano il padre meno di una comparsa. Quindi ti chiedo ancora scusa per il mio commento, mi dispiace se ti ha in qualche modo ferito. Ciao e scusami ancora!!

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  4. Paola, ma che persona straordinaria sei?! Non è facile nel momento del dolore vedere quello degli altri anche se li amiamo profondamente... Le persone che ti sono vicine sono fortunate, vorrei conoscerti, averti come amica... sei Speciale ed è per questo che tuo marito riesce ad andare avanti. Un abbraccio

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  5. La logica di chi è ritenuto "più adatto" ad assistere da vicino un malato a volte è implacabile. Ho letto con il cuore in gola il tuo post, e sono tornata con la mente alle tante volte in cui, negli ultimi anni, mio papà è finito in ospedale in pericolo di vita. Per tutti era mia madre a dovergli restare accanto, e naturalmente nessuno sarebbe riuscita a scollarla dal suo letto (o dal corridoio della rianimazione o della terapia intensiva, visto che con gli adulti l'assistenza notturna è spesso non consentita). Ma in quei giorni terribili noi, io e mio fratello, i figli, facevamo più o meno quello che fanno i padri del regno di OP: ci preoccupavamo delle cose burocratiche, di protare un cambio a mia madre, portarla a mangiare, e ogni sera ce ne tornavamo a casa, tenendo il cellulare accanto al cuscino, con il cuore in gola ad ogni minimo rumore, morti di spavento ogni volta che il telefono suonava (e magari era un parente che chiedeva notizie), desiderando solo, più di ogni altra cosa, di essere nella stessa stanza con mamma e papà, ma essendone irrimediabilmente esclusi... eppure, se mia madre non è crollata, è stato anche perché c'eravamo noi. Ricordo che una volta, mentre stavo in sala d'aspetto in attesa dei dieci minuti al giorno in cui, intabarrata in un camice e con mascherina e cuffie, avrei potuto stringere un attimo la mano a mio padre, per ammazzare il tempo leggevo un manuale di storia dell'antropologia per un esame che avrei dovuto dare: mia madre si è avvicinata, mi ha chiesto cosa stessi leggendo, e io mi sono sentita in colpa, come se fossi stata colta in flagrante a pensare a qualcosa che non fosse la malattia di mio padre. E lei ha capito questa reazione impercettibile a chiunque altro, e mi ha detto: questo è il regalo più bello che puoi fare a me e a lui. Perché di fronte alla malattia tutto sembra arrestarsi e non avere più senso, ma se così davvero fosse, allora sarebbe davvero un incubo. E ognuno ha il suo "compito", un po' imposto dall'alto (le regole dell'ospedale), un po' imposto dai ruoli familiari: ma tutti servono, sono essenziali a non crollare del tutto.
    Ti abbraccio fortissimo, Paola, a te, Marco e Angelo!
    Giusy

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  6. Mi lasci sempre senza parole, vi mando un abbraccio

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  7. Caro Luca, cari tutti....

    Il padre di Angelo arriva la mattina e resta con noi tutto il giorno, finché non lo cacciano via. Il pomeriggio resta solo con Angelo, gli scalda il latte, gli cambia il pannolino, lo accompagna a fare gli esami clinici, mentre io me ne torno a casa a fare una doccia e a riposare un po'. Il padre di Angelo non sa nemmeno dov'è la sala d'attesa. E' sempre presente. Tutti mi chiedono come sto io, nessuno a lui lo chiede mai. Questo post era per questo. Per dire che essere genitori non è una questione di genere. Per dire che le madri non sono genitori di serie A. Per dire che i figli, per i padri, non sono meno figli. Tutti pensano che io faccia di più e io soffra di più. Non è vero. Non è vero per noi, non è vero per le altre famiglie. Bisogna ribadirlo sempre e questo anche per colpa della "retorica sulla maternità sacrificale", insopportabile anche per molte di noi. Penso davvero quello che ho scritto alla fine del post: come madre mi sento più tutelata, più capita, più protetta. Chi protegge il dolore dei padri, nel regno di Op? Provavo a parlare di questo. Ma ho l'impressione che sia un tema così esclcuso dal discorso comune da suonare non proprio di immediata comprensione. Pazienza. Luca, niente scuse, però. Ci mancherebbe. Non mi hai ferito, è solo che volevo dire esattamente il contrario di quello che hai scritto., Volevo collocarmi esattamente dalla parte dei padri. Protestare CONTRO chi li immagina come figure accessorie. CONTRO chi non li fa restare con noi a dormire la notte. CONTRO chi pensa che facciano meno di noi mamme. E portare a testimonianza l'esperienza del padre di Angelo, che è il rappresentante nazionale dei padri presenti 24 ore su 24. Ma penso che adesso ci siamo capiti. Abbracci

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    1. era tutto chiaro paola
      chiaro come il coraggio
      chiaro come la disperazione
      chiaro come l'amore per lui
      io le tue parole stanotte le assorbirò
      a presto

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    2. Era davvero tutto chiaro, e mi permetto un accostamento davvero improprio, ma il giorno che abbiamo portato via con noi mio figlio dall'istituto io ero distrutta dall'emozione, dopo venti giorni di visite giornaliere veniva con noi, usciva all'esterno per la prima volta nella sua vita, aveva un anno. Le sue nounous piangevano da morire, me lo davano nelle lacrime, io avevo l'impressione di rapirlo di sottrarlo al suo paese, e mio marito era li con la faccia allegra a sdrammatizzare, a prenderlo in braccio, a prendermi sotto braccio. E io soffrivo da morire, e lui me l'ha lasciato fare, si è eclissato. Non ho pensato mai a come poteva stare lui, io la sagrada madre avevo tutti i diritti, anche nella mia testa. Solo recentemente mi ha confessato di aver passato una delle giornate piu' difficili della sua vita, e che quel viso perso nell'immensità del mondo del suo bambino non lo dimenticherà mai. Io non ci avevo mai pensato...egoismo delle madri, vi abbraccio

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    3. Cara Paola, sono Stefano. Ho vissuto nel regno di op per più di un anno insieme alla mia compagna. Il messaggio del tuo post è chiarissimo. Ti ringrazio per quello che hai scritto. Un abbraccio

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  8. Paola il tuo post è molto profondo e apprezzo molto questa tua sensibilità nel trattare questo argomento. Ci hai ricordato che esiste una madre, un bambino malato e come dici tu un padre "quasi spettatore" nel pensiero comune delle persone. Ma in realtà non è così ... esiste un bambino malato e due genitori che si stringono a lui.
    E così deve essere. Perchè famiglia è tutto questo.

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  9. è molto chiaro il tuo intento paola. luca ha frainteso probabiemente perchè è troppo abituato a sentirsi messo in secondo piano per colpa di quella che tu efficacemente chiami retorica della maternità sacrificale. questo post è anche per lui.
    mella

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  10. ---anche se il padre gioca un ruolo diverso non significa che sia meno importante io....per far passare le nottate soprattutto quelle di questa settimana pensavo al caffè che mio marito mi porta all'alba...infreddolito e mani ghiacciate così come il caffè, ma non importa un altra notte è passata. Per chi frequenta il regno di op, il particolare fa la differenza, la famiglia é una squadra ognuno gioca il suolo ruolo, ma se viene a mancare uno....non c'è più partita....by sign.ra Amuchina

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  11. Spesso cara Paola stare lontani e' peggio che stare vicini a un malato, quando poi si lascia in ospedale il proprio cucciolo! un abbraccio a tutti i padri e a tutte le madri del regno di op, vi penso sempre. Carla

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  12. Grazie a tutti i papà come Marco il papà di Angelo o al papà di Bernardo, il papà di Jacopo, il papà di Martina, il papà di Adele e a tutti gli altri papà che non ho nominato ma che ogni giorno ci aiutano a far si che possiamo rendere il meglio per i loro piccoli. Fosse per noi infermiere del "regno di op" resterebbero tutto il giorno e tutte le notti entrambi i genitori, perchè la famiglia non è solo mamma e bimbo, la famiglia è mamma papà e figlio!!! Spesso però quando i medici ci dicono "stanotte rimangono entrambi i genitori" si gela il nostro cuore (anche se cosciamente già lo sappiamo) questa frase viene sempre detta in casi di urgenza o in casi gravi. Ancora un grazie a tutti i papà e tutte le mamme del regno di op..... senza il vostro aiuto noi infermiere saremmo perdute.

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  13. Anch'io sono una mamma del regno di op. Io però sono stata fortunata, la mia bambina si è ammalata di leucemia linfoblastica acuta, forse fra tutte le malattie onco-ematologiche la più curabile. Ed è quasi guarita... fra pochi mesi saranno cinque anni che fa solo i controlli di routine. Tutto quello che racconti, l'ho vissuto anch'io, torno indietro a quei giorni e piango... per i bambini che abbiamo conosciuto in ospedale e che non ci sono più... per quello che abbiamo vissuto perchè niente sarà più come prima. La mia vita è divisa in due: prima della malattia di mia figlia e dopo. Spero con tutto il cuore che ci sia un dopo sereno come il mio anche per te.
    Io intanto mi dedico alla NOI PER VOI associazione genitori contro le leucemie e i tumori infantili dell'ospedale Meyer di Firenze, per raccogliere fondi da destinare alla ricerca. Trenta anni fa mia figlia sarebbe sicuramente morta, la ricerca è l'unica strada per sconfiggere queste malattie.
    Un grande abbraccio a te e a tutti genitori del regno di op.
    Manuela

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  14. Bellissimo post, come tutti gli altri del resto. Sono completamente d'accordo con il tuo punto di vista ed anch'io trovo insopportabile quest'idea diffusa di maternità sacrificale che considera la donna qualitativamente "migliore" rispetto all'uomo. Ti scrivo con un bambino (o bambina?) in una pancia di 8 mesi di gravidanza. Da quando è iniziata questa avventura ho notato che tutti si preoccupano delle mie sensazioni e dell'emozioni che provo, percependomi come avvolta da una atmosfera magica che interessa e riguarda solo me. Mai sento porre le stesse domande al mio compagno....Eppure, insieme ad un bimbo ed una nuova mamma, sta per nascere anche un magnifico papà. Il nome stesso "meternità" ad indicare questo momento, mi suona strano e ingiusto perchè, anche se il mio corpo è visibilmente investito a questo fine, emozionalmente è qualcosa che ci riguarda entrambi, nella stessa misura e con la stessa intensità. Ecco perchè ci tengo a ringraziarti per queste parole e per questo pensiero sul quale troppo raramente ci si sofferma. Inoltre ci fai scoprire quanto il papà di Angelo sia speciale e adorabile, esattamente come la sua mamma. Io non so perchè certe persone piuttosto che altre siano costrette a passare attraverso percorsi pieni di spine come il vostro...ma sono certa che con questa determinazione e con la vostra capacità di creare colori pastello dalla materia più nera sarete in grado di superare ogni ostacolo e di farcela sempre. Buon lunedi a tutti quelli del regno di OP! Miss Luisa

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  15. Come sempre riesci a fare centro nel cuore...E ogni tanto cerchiamo di immedesimarci in questi padri "fattorini" cerchiamo di capire che magari anche loro vorrebbero stare con noi,vorrebbero stare accanto alla loro famiglia e non girare come delle trottole tra una cartella clinica e una sala d attesa,e soprattutto cerchiamo di chiedergli " come stai?"

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  16. Ho fatto volontariato per 6 anni nel regno di op dell'ospedale infantile della mia città. Ero di quelle che portano i bimbi alla festa di natale, a giocare in ludoteca, che tenevano loro compagnia quando le mamme prendono un caffè di corsa o fanno una telefonata. Ora ho una bimba di tre mesi e non posso più farlo, almeno per un po'. Non ho mai commentato un blog, ma sento il bisogno di dirti che voglio bene al tuo bimbo e a tutti gli altri che combattono con lui.

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  17. cara Paola,
    stasera davanti a questo post ho pianto. Non è mia abitudine. Al di là del tuo dolore, di solito vedo l'importanza di parlare del regno di Op e dei suoi ospiti, perchè tutti si sentano meno soli.

    Stasera invece ho visto me stessa, quando ero in un regno simile e diverso, della Terapia intensiva neonatale. Lì era possibile turnarsi, mamme e papà, non c'erano regole di "genere".
    Ricordo però il supporto che veniva dato a me, da tutti; a lui meno, era dato per scontato che ce la facesse da solo. Non so se allora sono riuscita a dirgli quanto sia stato fondamentale per me l'averlo vicino e ora vado a rimediare.
    Grazie.

    Ps. la nostra è stata un'avventura difficile, ma a lieto fine. Siamo usciti dalla tin e abbiamo iniziato il nostro viaggio.

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  18. Paola, forse le cose andranno così nel regno d OP, ma non in alcuni regni vicini, dove ci sono - anche li, anche se per fortuna in percentuale minore che in OP - bambini che soffrono, lottano e a volte perdono, e genitori (non padri o madri, genitori e basta) che soffrono e lottano assieme e a volte perdono. E ci sono bambini e genitori che vincono, ma sanno che é solo una vittoria temporanea, e che una volta fuori la lotta continua, con medicine, pannolini (anche quando un figlio in età da pannolini.non.é più), notti insonni, umiliazioni quotidiane e la consapevolezza che in un certo modo non finirà mai, e quando finirà, non sarà un sollievo per nessuno. E non ci sono "padri accessori" o genitori complementari o di serie B, perché sono battaglie che si combattono assieme, e dopo un po' che certe trincee le si percorrono assieme, si.scopre che tante differenze fra padri e madri o uomini e donne che mandano in.visibilio chi ha la fortuna di vivere nel regno in cui i figli sono sani, beh, nelle trincee di cui sopra lasciano il tempo che trovano
    E se qualcuno la pensa diversamente, sono fatti suoi: nessun padre degno di questo.nome si preoccupa più di tanto perché qualcuno possa considerare la sua angoscia "secondaria"...

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  19. Il mio commento sopra per qualche motivo é uscito anonimo. Il mio nome é Luca

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  20. Fantastico!! come Padre mi sento 100% cosí. Alex

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  21. Caro Luca, scrivo a te quello che ho già scritto al caro Snake 77 con cui mi pare però ci siamo decisamente chiariti. Ti sembra questo un post che parla di "padri accessori" o "genitori di serie B"? Questo post parla del contrario. Del fatto che i padri sono coinvolti esattamente come noi e sono accanto ai piccoli come e più di noi. Sempre. Eppure del loro dolore nessuno parla mai, come se venisse prima il nostro, quello delle mamme. Nessun padre, da queste parti, si preoccupa perché qualcuno possa considerare la sua angoscia secondaria. Perché, come mi pare tu sappia fin troppo bene, sono intenti a fare di tutto: cambiare pannolini, portare caffè, occuparsi dei figli e delle madri insieme, trattenere il dolore che invece noi abbiamo meno pudore a liberare, tenere i figli in braccio 24 ore, giocare con le macchinine e le costruzioni, inseguire i piccoli per i corridoi... Padri presenti e senza retorica, incrollabili anche quando vorrebbero franare un po'. Questo post è dalla loro, dalla vostra parte. E non capisco come si possa leggere altro in queste righe. Mentre ti scrivo, mio marito sta allattando Angelo, il padre di Gianni gli sta insegnando a usare l'Ipad, il padre di Martina gioca con lei a chi arriva prima alla fine del corridoio, il padre di Viola sta cercando di spiegare al suo capo, al telefono, che ha bisogno ancora di qualche giorno di permesso perché non può lasciare la figlia a inizio terapie, il padre di Andreas ha guidato per 30 ore dalla Romania a qui per riportare il suo piccolo nell'ospedale a finire le sue cure e non si è staccato da lui nemmeno per andare a prendere il caffè. Certo che siamo insieme in questa trincea. Certo, Luca. certo.

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  22. Bellissimo post e bellissime parole. Grazie davvero.
    Matteo

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  23. La più bella, dolce e profonda dichiarazione di amore (di una donna al compagno) che abbia mai letto!

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