sabato 9 febbraio 2013

Ancora contro capitan Uncino

Se c'è una ragione precisa per cui ho aperto un blog come questo, se ho deciso di mettere in gioco e a nudo la storia dell'incontro tra la mia famiglia e il cancro di mio figlio è perché non si può accettare. Non si può accettare che parlare di tumori infantili e bambini malati sia un tabù. Non si può accettare che i nostri bambini siano isolati due volte: nei reparti dove sono costretti a trascorrere mesi, a volte anni, per combattere contro una malattia infame, e nella società in cui dopo le cure devono e vogliono tornare. Ma dove anche solo sapere dell'esistenza dei reparti di Oncologia pediatrica a volte crea spavento e sgomento. Lo abbiamo detto, ripetuto, invece: noi la malattia dei nostri figli vogliamo essere liberi di nominarla. Senza paura e senza fare paura. Perché le famiglie che ricevono una diagnosi di tumore infantile sono 1500 l'anno. Perché sono perseguitate da un aggettivo: "raro". Genitori rari di figli rari, che se occupassero una piazza tutti insieme forse non la riempirebbero nemmeno. 

Ma non si può accettare, davvero. Non si può accettare che siccome siamo pochi, che siccome siamo stanchi, sfiniti, affranti, avvinti anche spesso da un sentimento di vergogna, pudore, introversione verso la nostra condizione dannata la politica istituzionale si senta autorizzata a non occuparsi di noi. 

Non si può accettare, davvero, che al posto di occuparsi dei bisogni delle nostre famiglie, la politica si arroghi anche il diritto di calpestarli, questi bisogni, come è successo questa settimana con la storia della casa di Peter Pan. 

Una storia semplice, nella sua incredibile durezza. La storia di un'associazione che ha quasi vent'anni e che dal 1994 gestisce in un'edificio a via Francesco Lanes, a Roma, una casa di accoglienza che ospita 12 famiglie di bambini malati di tumore in cura al Bambin Gesù e al Policlinico Umberto I. Al posto di provvedere al pagamento dell'affitto e delle utenze, come ogni istituzione di un paese civile dovrebbe fare (siamo pochi, siamo rari e dunque siamo economici, non costeremmo che pochi euro, non rovineremmo il bilancio nè dello Stato nè degli enti locali), l'ente gestore dell'immobile di via Lanes (si chiama Ipab Irai ed è legato alla Regione Lazio) chiede all'associazione di volontari un affitto. Prima 3000 euro. Poi, dall'anno scorso, 6000. Poi però alza la posta. Annuncia all'associazione Peter Pan Onlus, e dunque anche alle famiglie e ai piccoli (bambini reduci da un intervento o un trapianto, o "semplicemente" sotto terapie chemioterapiche o radioterapiche), uno sfratto. Con una sola possibilità di restare: quella di pagare un affitto ancora più esoso. Tra i 20 mila e i 30 mila euro. 

Arrivare a Roma per curarsi, lasciando una casa a 400, 500 km di distanza oppure arrivando da un paese straniero: è la storia di moltissime famiglie di bambini malati di tumore. Perché i centri d'eccellenza, in grado di garantire cure complete e multidisciplinari (le terapie, il trapianto, gli interventi chirurgici necessari), sono pochi e spesso sono concentrati al Centro e al Nord. Una famiglia che lascia la casa, spesso il lavoro per curare un figlio malato è di questo che ha bisogno, e di nient'altro. Di una casa dove stare, vicina all'ospedale, senza pagare altri soldi e potendo fruire dell'assistenza dei volontari e dei lavoratori che con le loro competenze abitano queste associazioni a fronte di stipendi al minimo sindacale: psicologi, assistenti sociali, infermieri col cellulare acceso 24 ore al giorno, capaci di trovare una soluzione famiglia per famiglia, bambino per bambino. 

La storia degli amici di Peter Pan è quella delle decine, centinaia di associazioni che in tutta Italia combattono ogni giorno con le istituzioni per avere semplicemente la possibilità di fare, in silenzio e nell'ombra, il proprio lavoro salvavita. 

Ali di Scorta onlus è un'associazione simile, operativa al Policlinico Gemelli di Roma, il Grande Ospedale che, insieme proprio all'Ospedale dei Piccoli, cioè al Bambin Gesù, ha salvato la vita del mio bambino. 

La sua presidente, Silvia Riccardi, mi ha chiamato qualche mese fa, per raccontarmi che la possibilità dell'associazione di accedere a una casa accoglienza assegnata loro dal comune a via degli Aldobrandeschi 3 in cui si sarebbero potute accogliere decine di nuclei familiari con figli malati era ostacolata dal comune di Roma, che da anni, in nome di una "carta mancante", non consentiva all'associazione di procedere con i lavori di ristrutturazione dello stabile (a spese degli sponsor privati, naturalmente) né consentiva all'associazione di iniziare a ospitare in quell'appartamento le famiglie. Silvia e i suoi volontari hanno dovuto smuovere il mondo e le montagne per sbloccare questo impedimento di un ente locale che, al posto di mettere dieci, venti persone a scartabellare negli archivi per risolvere l'impiccio burocratico, ha dimenticato questa vicenda e queste famiglie gravemente a lungo.

L'Agop onlus è un'altra associazione attiva al servizio delle famiglie del Policlinico Gemelli. Da anni cerca fondi per costruire una casa accoglienza tra le più avanzate d'Europa, la Casa a Colori. Il comune di Roma ha assegnato la casa all'associazione, ma servono fondi per farne un posto utile e bello. Potete scaricare il progetto qui, per rendervi conto da soli. "Purtroppo con la crisi sono diminuite le donazioni e i lavori vanno a rilento", mi ha raccontato qualche settimana fa  Benilde Mauri, la presidente dell'Agop, che nel Regno di Op, molti anni fa, ha perso una figlia, e oggi si batte per aiutare i figli degli altri. 

E ieri a Bari, nel regno di Op del Policlinico dove sono stata invitata da altre tre incredibili associazioni a parlare del mio piccolo libro, ho scoperto altre cose di questo segno e di questo tipo. La culla di spago, associazione attiva da vent'anni in reparto, ha deciso di pagare con delle periodiche "collette" le trasferte da Bari a Roma delle famiglie dei bambini malati di leucemia che devono cambiare regione per il trapianto di midollo. Ottocento euro di assegno. "E' il minimo che possiamo fare", mi ha detto l'inesauribile Marcella De Donato, una donna solare e volitiva, che gestisce insieme a tante altre volontarie l'associazione dopo una vita come preside  nella scuola. Perché non arrivano dal Comune, dalla Regione, dallo Stato? 

L'associazione Apleti, invece, storica associazione al servizio dei genitori, mi ha confermato la denuncia che abbiamo già fatto in una nota del libro. E che riguarda la sospensione, da parte della Regione Puglia, dei fondi (poco meno di 100 mila euro) utili a tenere attivo un servizio di terapia domiciliare per i bambini malati di tumore della Puglia. "Continuamo a svolgere il servizio, ma grazie alle donazioni dei privati", mi ha detto Giovanna Natile, sottovoce, senza polemica. Perché la Regione Puglia, quel servizio, non ha continuato a pagarlo? 

Io dico che non è giusto. Che non è giusto che siano i privati a doversi occupare di diritti come il diritto alla casa e il diritto alla salute, sanciti dalla nostra Costituzione. Io dico che gli enti e locali e lo Stato dovrebbero essere come minimo al servizio e non contro queste associazioni, che in ogni caso non possono svolgere un lavoro di perenne supplenza alla politica che non c'è. Che si occupa d'altro. Di fare comizi, affiggere manifesti abusivi e distribuire promesse senza senso. Oppure di tagliare in modo insensato e ragionieristico servizi e posti letto. 

Io dico che a questo sistema di cose ci dobbiamo ribellare. E come sempre, in questo blog, scegliamo la strada da cui ogni ribellione comincia: quella della denuncia, della potenza nonviolenta della parola. 


Non la daremo vinta a Capitan Uncino



Mio figlio è stato operato nel novembre 2011 all'Ospedale dei Piccoli che poi, fuori da questo blog, è l'Ospedale Bambino Gesù di Roma. Ho raccontato del suo intervento in un post che molti di voi hanno letto: Goretex. 

Tra le mail che ho ricevuto dopo quel post, un anno fa, c'è quella di una volontaria del Regno di Op dell'Ospedale dei Piccoli. Mi parlava della loro esperienza nella Casa di Peter Pan e mi girava la lettera di una mamma, scritta per raccontare la vita in quella casa delle famiglie dei bambini oncologici accolti dall'associazione che la gestiva.
Avete letto in queste ore che l'ente della Regione Lazio che ha in gestione l'appartamento dove sono ospitate le 12 famiglie accolte nella Casa di Peter Pan ha inviato all'associazione e dunque anche a genitori e bambini malati di cancro una lettera di sfratto. 

Potremmo scrivere pagine intere sulla vergogna di questo gesto. E invece leggiamoci la lettera di questa volontaria e le parole scritte da una mamma ospitata nella Casa di Peter Pan. Io dico che ogni altro commento è superfluo. 

Un abbraccio ai volontari e alle famiglie: ne verremo a capo, ve lo prometto. 

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Febbraio 2012, un anno fa

Ciao Paola, ho finito ora di leggere il nuovo post “Goretex”.   
Ieri pomeriggio ero insieme agli altri volontari di Peter Pan, nell’Ospedale dei Piccoli.

Abbiamo festeggiato il giovedì grasso, alla nostra maniera: mascherando i genitori volenterosi, facendoli sfilare stanza per stanza, sotto gli occhi di una giuria severissima e incorruttibile, ovvero i figli. Il padiglione S. Onofrio per due ore è diventato Rio S. Onofrio.

La maschera più votata quest’anno, è stata Biancaneve e un solo nano. In tempo di crisi non né abbiamo trovati di più…
Il regno di OP è per me  un aiuto importante per gli incontri con Voi genitori. Ci sono tante Paola nel reparto dell’Ospedale dei Piccoli. Ti ringrazio!

Volevo invitarti a leggere (in allegato) questa bellissima lettera, scritta dalla mamma di Alice.
Entrambe sono accolte alla Casa di  Peter Pan  da due anni, per le terapie della piccola.
Ieri le ho incontrate di nuovo in reparto per una bruttissima recidiva.

Un pugno nello stomaco mi avrebbe fatto meno male.

Un bacio grande ad Angelo e un abbraccio fortissimo alla sua mamma e al suo papà.

Una volontaria

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"Signora, mi scusi, ma lei sa dove andare?"
...poche e semplici parole che affondavano la lama nella ferita della scoperta della malattia. La dottoressa, davanti al mio smarrimento ed alla paura, uscì dalla stanza. Già! Dove avrei portato la mia bambina fuori dall'ospedale? Dove potevo continuare a seguire le terapie per la mia piccolina se non in ricovero? Dove sarei riuscita a darle tutto il diritto dell'infanzia felice? Saremmo riusciti a trascorrere del tempo con il resto della nostra famiglia?  Qualche ora dopo, il medico rientrò e con un bel sorriso disse: " C'è posto! Vi aspettano da Peter Pan!"Seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino....quella era l'unica strada che conoscevo per l'isola che non c'è, ed invece ci trovammo davanti ad un portone verde sopra il quale si legge, La casa di Peter Pan. 


Quando un simpatico signore con gli occhiali ci aprì, venimmo travolte da una donnona bionda che sprizzava gioia da tutti i pori, che gridava al mondo quanto si può fare con l'amore, che si prese in braccio Alice e la strapazzò. Eravamo approdate nell'isola che c'è! 

Alice aveva 14 mesi appena compiuti, non parlava, non camminava ma i suoi ricciolini castani e gli occhioni scuri dicevano tutto. Era affascinata dalla vite americana che , insieme al glicine , scendeva lungo il pergolato del giardino dove in compagnia degli altri bimbi e tanti zii adottivi  ha imparato prima ad andare sul triciclo e poi a camminare. Quella è stata una settimana d'allenamento intensivo da parte di tutti e così quando finalmente arrivarono il suo adorato papi e Nicholas, il fratellone di ben 4 anni,gli poté quasi correre incontro.
Le terapie, si sa, fanno cadere i capelli ed anche per Alice arrivò il momento, un trauma più per i genitori che per i figli(almeno a quest'età), poi scendi nel salone dove pranziamo tutti insieme e ti senti dire: ah menomale, era ora! Ma sai come crescono più belli e forti? Vedrai, altro che parrucchiere! Questa è la casa di Peter Pan. Un luogo dove trovi sempre qualcuno che ti porta davanti al muro contro il quale vuoi sbattere la testa ma che dallo stesso muro t'allontana prima di farti male. Casa di Peter Pan: casa d'accoglienza per il bambino onco-ematologico oppure casa d'accoglienza per il bambino malato di cancro...tutte parole che oltre a non venir capite mettono anche paura. E invece no! 

La casa di Peter Pan è molto di più, è la possibilità di continuare a vivere il più possibile una vita " normale", è un luogo dove i bimbi continuano ad essere tali, dove i papà guardano le partite che sembra d'essere allo stadio e le mamme si scambiano le ricette in cucina. Perché chi entra in questa realtà, la realtà della malattia, ha bisogno di tutta la normalità del mondo e deve poter vivere, lontano da casa, con chi gliela può dare. Una volta un papà disse: "Siamo su barche diverse che vanno nella stessa direzione". È verissimo, perché non tutte le malattie sono uguali e non sempre a quel porto ci si arriva...ma il viaggio...il viaggio deve essere fatto con chi ti riesce a stare vicino. 

Tra terapie, prelievi, trasfusioni ed altro ancora, Alice ha imparato a correre, parlare, stare seduta a tavola composta o quasi; relazionandosi con bimbi di tutte le età e provenienza. Vivere lontano da casa per tanto tempo è molto difficile soprattutto se la famiglia è divisa, ma qui ne abbiamo trovata un'altra, una più grande, dove si trova anche la forza d'alterarsi se le tovaglie della cucina non sono in ordine o il freezer è da pulire per l'ennesima volta...non pensate che sia pazza,è proprio così. La quotidianità che spesso fa saltare i nervi è proprio la miglior cosa della quale si ha bisogno per aggiungere normalità ad una situazione che di normale non ha nulla. Il 25 dicembre, giorno di Natale, eravamo a tavola in trentatre persone...nella sfortuna che ci ha riservato la vita, è stato il Natale più bello che abbia mai vissuto, condiviso con chi ti vuole veramente bene, con chi t'aiuta a preparare gli antipasti, con chi vive i tuoi stessi momenti e quando non sa cosa dire resta in silenzio, perché sa che non è il momento di parlare. 

Durante il veglione di San Silvestro c'è stato addirittura chi ha ballato sui tavoli, i bambini che tenevano in mano le stelline magiche, il trenino tra i brindisi. Ma tante e tante ancora sarebbero le feste da raccontare, i compleanni a sorpresa, le sagre della polenta, le feste hawaiane...i bimbi che legano ai palloncini i loro pensieri e lì lasciano volare nell'altra metà del cielo. Non è un villaggio turistico, sia ben chiaro, ci sono giorni in cui condividere il dolore logora l'anima, giorni in cui l'impotenza che si prova è talmente grande che ti senti soffocare ma trovi sempre qualcuno che rompe il silenzio e trascina tutti nella pizzata di turno o la pataserata...perché? Per la normalità. È passato l'inverno, è arrivata Pasqua, pollo con i peperoni a ferragosto...ma quando usciamo da una terapia, un day hospital, quando torniamo da una passeggiata in centro e chiedo alla mia bambina:" torniamo a casa?"Alice risponde:"si mamma...andiamo da Peter Pan.


La mamma di Alice